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C'era una volta... Il Calzolaio

C'era una volta... il calzolaio.

Chissà se dovrò parlare così in un futuro non poi così tanto lontano.
E’ antichissima l’attività del calzolaio. La si trova già ai tempi dei Romani, quando i centurioni portavano i sandali in cuoio che richiedevano l’opera accurata dei calzolai, appunto. Un mestiere che senza ombra di dubbio può rientrare fra “ i lavori d’arte”.  E chi ancora si prodiga in questa artigianalità può ritenersi portatore, ormai molto raro, di una conoscenza millenaria.
A tal proposito ho voluto intervistare uno degli ultimi calzolai rimasti nella mia zona: Magrè di Schio. È il signor Giorgio Crivellaro, figlio d’arte del padre Giovanni Crivellaro.
Il suo laboratorio, quasi centenario,  mi ha affascinato fin da piccolo. Come lo vedevo allora, avevo poco più di sei anni, insieme con la mamma che portava a riparare le scarpe , lo vedo oggi che mi trovo nel piccolo laboratorio per l’intervista.
L’odore di cuoio e colla, i macchinari ancora di un’altra epoca, gli attrezzi del mestiere, i pezzi di ricambio e le centinaia di scarpe allineate sul banco di legno creano un’atmosfera accogliente che insegna pazienza e saggezza e dove si respira l’affascinante sensazione che deriva dalla sapienza di mani e pensiero. Abituato a vedere  luoghi tirati a lucido che spesso danno una sensazione di freddezza, entrare  nel laboratorio del signor Giorgio mi introduce in un’altra realtà piena di storia, speranzosa di poter essere raccontata da qualcuno.
Ringrazio già in anticipo i signori Crivellaro che con le loro parole mi hanno fatto riflettere su un problema reale: la sopravvivenza di queste botteghe artigianali, oggi messa in pericolo dal mondo globale. Se non può toccare molti di noi personalmente, provoca indiscutibilmente una perdita nel tessuto storico-sociale. Spero che nel loro piccolo tutti riescano a fare anche un solo pensiero su questo “tumore” dell’artigianalità.


Da quanti anni fa il calzolaio?
Da 25 anni. Un’eredità raccolta da mio padre, che prima di me seguiva l’attività.

Aveva la passione per questo lavoro?
Diciamo che l’ho affronta come un dovere inizialmente. Poi la passione che era in me ha avuto il sopravvento.

Appena preso in mano l’attività aveva clientela?
Sì, e molto più numerosa di adesso.

Perché secondo lei?
Per molti motivi direi, il principale comunque era la scarpa differente. Una volta erano “vere” scarpe e  dunque valeva anche la pena sistemarle.

Come sono i clienti?
Non ho mai avuto problemi con loro. Ho sempre cercato di instaurare un rapporto di fiducia, e vedo che la cosa ha portato buoni risultati.


...Una volta erano "vere" scarpe...




Chi porta prevalentemente le scarpe nel suo laboratorio?
La maggioranza sono signore di mezza età, qualche signore e pochi giovani.

Sono “operai” o persone benestanti?
Benestanti. Le spiego. Queste persone “ricche”  comprano scarpe  che costano di più e di alta qualità. Dunque conviene loro sistemarle nel mio laboratorio, anziché gettarle. Invece un operario prende scarpe molto più economiche. Nella maggioranza dei casi verrebbe  a costare di più la riparazione che la scarpa nuova.

I clienti gli chiedono consigli su come far durare di più le scarpe?
Si, dei clienti mi fanno svariate domande su come ammorbidire la scarpa, come farsela adattare al piede, come conservare meglio la pelle e, se si tratta di clienti al femminile, su come consumare meno i tacchi a spillo.

E come si fa a consumare meno i tacchi a spillo?
Semplice. Gli dico di posare la pianta del piede e non il tallone. Fa anche il passo più elegante.

Ha mai provato ad indovinare come poteva essere la persona in base al suo paio di scarpe?
Come tutti i lavori a contatto con materiale altrui con il tempo ti crei delle tipologie di clientela. Già solo come ti presentano le scarpe i clienti, se dentro un sacchetto o una borsetta: Da lì capisci un po’ che persona può essere e poi sì, c’è tutto uno studio guardando le scarpe. Sinceramente io alla fine del lavoro o per una cosa o per l’altra mi riesco a fare amico il cliente, dunque lo conosco anche senza una scarpa davanti. Grazie a questo rapporto con la clientela ormai riesco ad indovinare per metà il loro carattere già guardando le scarpe che mi portano. Potrei pensare di scrivere un libro su  questo. O no?


...verrebbe  a costare di più la riparazione che la scarpa nuova...




Quanti calzolai sono rimasti in città?
Fra città e periferia siamo rimasti in cinque. Pochi se si considera che, circa  trent’anni fa, ce n’erano più di 20.

Bisogna studiare per fare questo lavoro?
Studiare fa sempre bene, però, diciamo che questo lavoro non si impara sui libri mai nei laboratori.

A lei piacciono le scarpe? Le sue le sistema da sé? Anche quelle dei suoi familiari?
Si mi piacciono le scarpe. Mi piace lavorarle: Sistemo le mie e quelle dei miei parenti.

Secondo lei questa sua artigianalità c’entra con il mondo moda?
Penso proprio di sì. Io provvedo a  riparazioni di un accessorio-moda, dunque ritengo di poter dire che sono un supporto al mondo della moda. Mio padre, ad esempio, pochi anni fa si poteva ritenere partecipe a pieno diritto al campo “fashion”, come lo chiamate voi giovani. Lui non solo riparava scarpe, cinture e borse ma aveva anche una propria produzione, seppur piccola, di borse e scarpe in pelle. Mi dice sempre con un certo orgoglio: «Io ho “vestito” le migliori signore della Città una volta».

Non ha mai voluto creare qualche cosa di suo?
Guarda, io ho iniziato molti anni più in là di quando ha cominciato mio padre alla sua età. Mi sono sempre prodigato ad imparare tutte le tecniche e i segreti su come sistemare le scarpe, e ancora oggi posso dire che ho sempre qualche cosa da imparare. Le scarpe cambiano anno dopo anno, e io involontariamente devo studiarmele.  Diciamo che non ho tanto tempo libero.

...sono un supporto al mondo della moda...



Dagli inizi della sua carriera ad oggi ha notato un’evoluzione della scarpa? Se sì, in che modo positivo o negativo?
Parlando di materiale e di lavoro sulla scarpa direi che l’evoluzione è in peggio. Non c’è più la materia prima e l’impronta artigiana di questo prodotto. Ci sono delle eccezioni, però la maggior parte delle aziende attua la nuova “moda” dell’usa e getta e quindi l’imperativo consumistico.

Come la vede la sua attività in futuro prossimo?
Non tanto bene. Questo lavoro ti fa vivere se hai scarpe da sistemare. Ma le riparazioni stanno calando. Conto di chiudere con la pensione. Però penso che sia un mestiere-arte destinato a scomparire.

Ha mai avuto un aiuto dallo Stato?
Quando presi in mano l’attività vinsi un concorso regionale, il quale dava dei soldi a nuovi artigiani che aprivano un’attività singolare.

Che consigli si sente di dare per chi vuole intraprendere la sua stessa attività?
Come in tutte le cose se uno ha la passione è inutile bloccarlo, anche se questa mia è un’attività in via di estinzione. Potrei dare molti consigli; in primis a chi mi chiede partirei dicendogli:  «È un lavoro che non muori mai di fame, però non riesci mai a fare un pasto completo!».

Come vuole concludere questa intervista?
Ringraziando i ragazzi come voi che, anche se non portano manualmente avanti quest’arte,  ne parlano e ci dimostrano la loro considerazione. Pertanto resta la speranza che, scomparso questo lavoro,  qualche cosa rimanga scritto e nessuno è tanto indovino da prevedere con esattezza il futuro né vicino né lontano. Chissà… può accadere che si debba tornare sui propri passi e tornare a riparasi le scarpe dal buon artigiano.


...è un lavoro che non muori mai di fame,però non riesci mai a fare un pasto completo...


Tempo lettura articolo: 8 minuti (circa)


















































Calzolaio Giorgio Crivellaro
Via Pio X, 35
36015 Magrè di Schio (Vi)

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